Amanda Sandrelli: intervista e fotogallery

La sua è una lunga carriera, nella quale ha interpretato molti ruoli diversi. In base alla sua esperienza  com’è cambiato il teatro italiano da quando ha iniziato a oggi?

Cercando di dire le cose migliori e trovare qualcosa di buono, penso che una cosa che è un po’ cambiata è la separazione, che prima era molto rigida, tra teatro cinema e televisione, perché un tempo chi faceva teatro non poteva fare televisione e così via, quindi era tutto molto separato. Questa non era buona regola secondo me, perché il mestiere dell’attore è quello, poi è ovvio che c’è chi è maggiormente adatto a un mezzo che ad un altro, ma finché non si prova non si può saperlo, e in più, alcuni mezzi come ad esempio la televisione, sono funzionali, nel senso che ti danno quella notorietà che serve anche a far venire le persone a teatro. Per questo sono cose che possono coesistere. Adesso, infatti, le tournée durano molto meno, e molto spesso si tende a spezzare una tournée se è lunga in due stagioni, in modo che un attore non parta per sei mesi e nel nulla per così tanto tempo. Mentre i peggioramenti sono quelli che ha avuto tutto il Paese (ride), ed evito di ripeterli dato che li saprete già…

Secondo lei quale può essere il ruolo del teatro nella società? Perché le persone dovrebbero venire a vedere uno spettacolo in teatro?  

Perché credo che il teatro faccia proprio bene, e lo dico sia da spettatrice sia da attrice, e quando vedo o faccio un bello spettacolo, io dopo mi sento meglio, e non credo sia un caso che il teatro esista da quando esiste l’uomo civile. In Grecia era obbligatorio andarci, non era una cosa che potevi fare o non fare, ci dovevi andare perché faceva bene alla costruzione della persona. Loro dicevano che era catartico, e credo che più o meno lo sia ancora oggi; continua a essere quello, cioè un rapporto fisico che passa attraverso le parole e il palcoscenico, ed è qualcosa che accade in quel momento e non è mai uguale, e tutto ciò avviene perché c’è un pubblico che rimanda l’energia che tu attore dai. Posso assicurarvi che lo spettacolo non è lo stesso se facciamo una prova generale senza un pubblico. Il teatro non può morire, perché è uno dei luoghi dove tutto avviene fisicamente, e quindi tanto più lo schermo ti porta lontano e ad accorciare le distanze nel mondo, tanto più non dobbiamo perdere di vista il rapporto fisico, che è quello che ti fa sentire quello che sei, e credo che soprattutto i giovani non debbano perderlo, perché è veramente importante. Poi il teatro ha un ruolo sociale, dove si pensa o dove quantomeno non è vietato farlo, e a volte lo si prova a fare anche divertendo il pubblico. Sono convinta che uno dei peggiori equivoci sia che la cultura debba essere noiosa, e che se uno non si rompe le palle non sta facendo una cosa abbastanza intelligente, non è assolutamente così, perché le cose noiose sono noiose punto. Uno spettacolo teatrale non è un libro che lo puoi chiudere e saltare il capitolo noioso, mentre in uno spettacolo no, perché lo spettatore è seduto e il regista deve cercare di tenere attento il pubblico per non fargli perdere il filo, e questo riesce a farlo bene Lorenzo Gioielli, che scrive spettacoli divertenti ma anche profondi e intelligenti.

Da cosa è nato lo spettacolo teatrale “Non c’è tempo amore”?

Questo spettacolo è nato dalla capoccia di Lorenzo Gioielli, che oltre ad essere un autore è attore e regista, che sia io sia Blas (Blas Roca Rey, marito della Sandrelli e anch’egli protagonista di questo spettacolo ndr) conosciamo da molti anni, e sicuramente molte cose della vita di coppia le ha anche “rubate” dalle nostre e dalla sua esperienza. Questo spettacolo è una riflessione un po’ su tutto, non solo sull’amore, sul sesso e sul rapporto fra uomini e donne, ma anche su altre cose, ed è questo che a me piace particolarmente, perché “Non c’è tempo amore” è uno spettacolo con tanti strati, e credo che uno spettatore può accontentarsi e guardarselo divertendosi, oppure può scendere in profondità, a seconda della sensibilità, dell’età e della situazione che vive in quel momento lo spettatore.  E credo che ogni strato abbia veramente una chiave di lettura molto interessante, fra cui anche una chiave più sociale e ampia, proprio di crisi non solo dei cinquantenni ma anche di un modo di essere.

Questo può essere il frutto di questa epoca?

Sicuramente la fretta, il fatto di fare e produrre è il frutto di questa epoca, e quindi c’è sempre qualcosa da fare. Ci fu un libro storico, quando ero una ragazzina, che si chiamava “Avere o essere” di Erich Fromm, scritto ormai una trentina di anni fa, e sembrava che qualcosa ci fosse stato detto sull’argomento, invece no, perché a noi occidentali questa cosa dell’avere è sempre stata più importante del resto. E poi si paga, sia perché l’avere scompare da un giorno all’altro, e sia perché alla fine si rischia di avere tanto ma di non essere felice.

HowL – La Redazione

(Foto di Irene Ferri)

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