Un folle e John Lennon
la morte e la vita
il passato e il futuro
sx e dx
parole e musica
questo spettacolo è una sferzata e una carezza
e provo a raccontarlo così
diviso
perchè non è un tutt’uno completo
non è unione
è più facile descriverlo
partendo da quello che non è…
perchè è tensione e disaccordo.
Non è nemmeno facile individuarne il protagonista,
se scelgo secondo il mio gradimento: la chitarra e il quartetto d’archi – senza dubbio!
Il titolo è una canzone dei Beatles del 1967. Scritta principalmente da Paul McCartney per la colonna sonora del film Magical Mystery Tour; è una ballata che narra la fantasiosa vicenda del folle sulla collina.
La trama in sè è più semplice: “dicembre 1980: l’inizio di un incubo per Mark David Chapman, la fine di un sogno, per milioni di fan. Era un bambino, Mark, quando i Beatles volarono finalmente negli States. Si invaghì di John, del suo stile così alternativo rispetto a quello di Paul. S’innamorò di canzoni all’apparenza innocue, ma capaci di scalfirgli l’anima. Non avrebbe rinunciato a quella musica per nulla al mondo. A costo di consegnarla alla storia, preservandola per sempre. Con cinque colpi di pistola. Si dice che a chi muoia scorra davanti, in un istante, tutta la vita. Nelle ore trascorse ad attendere John, davanti all’ingresso del Dakota Hotel, Chapman ripercorre – come in un flashback estremo – quel sogno condiviso con milioni di ragazzi di tutto il mondo, ritrovando le canzoni, le frasi e i gesti che hanno segnato un’epoca. “Non posso credere che sia morto. Lui mi ha aiutato a vivere tante volte ” – dirà più tardi”.
Ci sono due livelli a cui lo spettatore cede l’orecchio:
da un lato del palco la voce narrante, all’estremo gli archi e la chitarra.
Sentire le melodie dei Beatels suonate a questo modo è un autentico viaggio nella bellezza.
Sarà una metafora scontata ma ci si sente nel vento
“altrove”;
se si chiudono gli occhi…
le musiche dei Beatels suonate come una sinfonia!
Si esce da teatro e per quel lato lì del palco si porta via…
dolcezza,
infinta dolcezza.
Altra storia stare nel lato sinistro del palco
un folle raccontato da Haber,
un delirio gettato senza passione,
un “sorta di essere primitivo, incapace di tenere a bada gli istinti” portato in proscenio
e fin dai primi minuti senti dissonanza
come dissonante è una morte come quella di John Lennon
e ti senti dentro ad una favola antica
che racconta – da sempre – la stessa storia
la lotta del bene contro il male
il disgusto e la grazia
la banalità e l’arte
vedere questo spettacolo
è stare per metà dentro e per metà fuori
ne esci confuso
come sempre accade
quando si tratta di parlare di follia
dalla parte della ragione – con gli occhi della ragione –
la si scansa
anche inorriditi
e forse è sempre la stessa storia davvero:
la capacità di fare della propria “follia”
un punto di partenza.
Mark ha ucciso la propria follia
i Beatles hanno reso la loro immortale
l’hanno accolta e liberata
nelle canzoni
che fanno parte della nostra storia collettiva
e riecheggiano
oggi con una chitarra e un violino
tra i nostri sogni migliori,
per gli incubi abbiamo già speso troppo tempo.
Natascia Nobili