Qual è la vostra opinione riguardo l’evoluzione della comicità italiana negli ultimi dieci anni?
Zuzzurro: Il mio parere è che un’evoluzione nella comicità italiana non ci sia stata. Innanzitutto la comicità è sempre uguale. Quello che è cambiato è il modo di fare e proporre la comicità. Se si perde il senso infantile, il senso “giocherellone” e si pretende- come fanno alcuni – di dire la verità, di essere dei grandi maestri è un modo diverso di fare comicità. La comicità è sempre quella: si rideva con Stanlio e Olio quando una signora grassa attraversava la strada, scivolava su una buccia di banana e poi picchiava il sedere in una pozzanghera ( e si rideva perché lei era ben vestita e appartenente alla borghesia) e ancora oggi se una signora (seppur non grassa) come la Santanché casca per terra.. io rido! Per me la comicità è una visione infantile della vita.
Gaspare: E’ semplicemente cambiato il modo di proporre la comicità. E poi è cambiato il modo di recepirla. Essa è fatta principalmente di tempi. Chi ha i tempi comici fa ridere, chi non ce li ha non fa ridere. Gli altri sono quelli che dicono delle battute, ma dire delle battute non significa fare il comico. Il tempo comico è quella cosa che fa scattare la risata assoluta. Al contrario, la battuta detta diventa un lavoro di scrittura. Adesso è in voga il gusto della battuta fine a se stessa che effettivamente è un modo per far ridere, ma non basta. Non basta perché la comicità non è una questione che dura mezz’ora. La comicità è un’interpretazione delle cose, della realtà. E poi ultimamente si è confuso il fatto di far ridere con il fatto di essere un comico. I comici veri sono unici. Con questo intendo che hanno una sorta di “marchio di fabbrica”: fanno cose in un modo che nessun altro può fare. E se con questo marchio ci si riesce a imporre e a piacere al pubblico allora è fatta, ma occorre naturalmente tenersi sempre aggiornati.
Avete lavorato per il cinema, per il teatro, per la televisione. Qual è il mezzo migliore per trasmettere quest’idea di comicità?
Zuzzurro: Il mezzo migliore e più diretto è quello teatrale. E’ quello che, però, ti permette di far ridere soltanto qualche centinaio di persone a sera. In televisione puoi farne ridere milioni. Al contempo, però, è molto più difficile far ridere 5 o 6 milioni di persone per tante ragioni. Una fondamentale è che si lavora per una macchinetta in cui si può accendere facilmente una luce rossa e stop. In teatro, invece, lavori e senti direttamente sulla pelle la reazione del pubblico, in base alla quale ci si regola su come agire.
Gaspare: Inoltre adesso fare la televisione è diventato molto più difficile di una volta. Ora si hanno pochi minuti e occorre far ridere dalla Valle d’Aosta a Catanzaro. E naturalmente non è così semplicemente trovare un argomento che metta d’accordo tutti. Spesso si rischia di banalizzare ciò che si fa. Ecco perché c’è questo appiattimento generale e gli argomenti sono sempre gli stessi.
Da dov’è nata l’idea di portare in scena “La cena dei cretini”?
E’ nata dal fatto che abbiamo deciso di fare teatro e abbiamo scelto questo testo in quanto ci è sembrato molto adatto a noi. L’abbiamo sentito come un testo capce di darci la possibilità di divertire il pubblico e di comunicare determinate sensazioni. “La cena dei cretini” funziona moltissimo perché è scritta divinamente bene e, in tutta modestia, noi la facciamo decisamente bene.
(Foto di Erica Spadaccini)